Articolo della rivista del Comune di Ancona “Il Comune”, numero di ottobre/novembre 1999, sulla tesi di Mauro Verdini “Ancona: il pubblico e le sale cinematografiche dal dopoguerra ad oggi”
I cinema ad Ancona con un po’ di nostalgia
Rex, Lux, Audax, Astra, Adriatico e Fiammetta. Nomi di una certa presa per cinema che ad Ancona non ci sono più. Per sale che gli amanti del mondo della celluloide con qualche capello bianco ricorderanno sicuramente. Così come ricorderanno altrettanto certamente il vecchio cinema Podesti. Tanto per capirci “el pedochieto” dove venivano proiettati due e addirittura tre film diversi al giorno (tutte pellicole doc di terza e quarta visione). Insomma in questi nomi ed ovviamente anche in quelli più prestigiosi del Goldoni, del Marchetti, del Metropolitan, del Coppi e dell’Alhambra (per non parlare di tutte quelle sale parrocchiali che in questi ultimi anni hanno, di fatto, continuato a garantire le prime visioni) sta, in buona parte, la storia del cinema in Ancona. Una storia raccontata con dovizia di dati e riscontri da Mauro Verdini nella sua tesi di laurea in storia e critica del cinema.

Non a caso, nel luglio scorso il Premio nazionale di cultura “Frontino Montefeltro” (foto a destra) per la sezione ‘Tesi di laurea” è stato assegnato ex aequo al dott. Verdini appunto per la sua tesi “Ancona: il pubblico e le sale cinematografiche dal dopoguerra ad oggi”. Il tutto partendo dalla… preistoria.
“Il battesimo marchigiano del cinema – scrive Verdini – ebbe luogo in Ancona 11 ottobre 1896 nelle sale del Caffè Centrale per merito della Compagnia Anglo Italiana che presentava esperimenti di proiezione. Da quel momento è un susseguirsi ininterrotto di spettacoli cinematografici, di alternanza di cinematografi ambulanti, di inaugurazioni di sale permanenti e contemporaneamente un continuo avvicendarsi dei più svariati macchinari di proiezione delle case cinematografiche dell’epoca.
Agli inizi del ‘900 un certo Icilio prese in affitto un locale lungo il corso Vittorio Emanuele per installarvi una specie di lanterna magica in cui, girando una manovella, si vedevano immagini diverse. Il locale era a ingresso libero ma per far funzionare l’apparecchio. occorreva introdurre nell’apposita fessura una moneta da 10 centesimi di rame, detta “do soldi o do bochi”. Ogni sera c’era la coda anche se di lanterne ce n’erano una decina, ma per il povero Icilio gli affari erano magri. Si scoprì, dopo il suo fallimento, che la gente, anziché inserire i soldi correnti, metteva vecchi soldi greci fuori corso.”

“Il 26 dicembre 1860 – sottolinea Verdini – aprì al pubblico di Ancona il Teatro Vittorio Emanuele, all’interno del quale, il 22 settembre del 1906, venne inaugurato il cinematografo permanente Dorico, con ingresso in via Castelfidardo, con macchine e pellicole fornite dalla Società Lux et Umbra di Roma. Prezzi serali: 30 centesimi gli adulti, 15 centesimi i ragazzi.
Nel 1911, nel corso dell’estate, il teatro si trasformò in cinematografo, per la proiezione del grande film “La Bastiglia” in tre atti e ben cinquecento quadri, edito dalla Vilagraph.
Il 7 febbraio del 1931 il teatro riaprì, dopo un periodo di chiusura per ristrutturazione, con un nuovo ingresso su corso Garibaldi e con una nuova insegna “Cinema e Teatro Vittorio Emanuele”.
Nel 1910 venne inaugurata in Ancona la Sala Iris, seguita nel 1912 dalla Sala Dorica mentre nel 1913 il Teatro Goldoni venne adibito a sala cinematografica permanente. Il cinema penetrò all’interno della società anconetana gettando le premesse di una espansione capillare che solo dopo la Grande Guerra iniziò a rallentare.
Nel dopoguerra il cinema si era ormai conquistato un suo pubblico che comprendeva tutte le classi sociali e coinvolgeva elementi di tutte le età.
La sala più importante era la Sala Dorica, contenente oltre un migliaio di persone, si trovava lungo il corso Vittorio Emanuele, ora corso Garibaldi, prima del famoso Caffè Garelli.
Era la sala più nobile ed elegante con gusto raffinato e sentito; molto frequentata, soprattutto in occasione della proiezione di film famosi come il ciclo dei “Nibelunghi”, “Sigfrido”. Era formata da un ampio corridoio, che entrava tra vecchie donnine in stucco con capelli lunghi e seni in fuori, del tempo Liberty (le stesse si trovavano anche nei piccoli depliant che davano le barbierie, una specie di derivazione della Maddalena Rinascimentale), molto luminoso e chiaro, dal quale si accedeva alla vera e propria sala. Quest’ultima aveva una piccola galleria ed una platea; una sala tipicamente in stile Liberty.
Accanto alla Sala Dorica c’era la piccola Sala Iris con l’ingresso in piazza Roma, utilizzato specialmente per il cinema varietà. C’era una orchestrina fissa che accompagnava la proiezione dei film e il contrabbassista Giansanti, soprannominato “Bombardó”, era spesso preso di mira dai lazzi del pubblico e dai comici. Addirittura, un giorno, gli misero un topo vivo dentro lo strumento.
Negli intervalli, veniva spruzzato, con una grossa siringa, un liquido disinfettante e tutti i ragazzi allungavano il cappello per riceverne un po’. La Sala Iris venne chiusa nel 1923, quando i proprietari si videro costretti a vendere lo stabile, per la crisi del dopoguerra. Il pubblico di questa sala era abbastanza popolare, i ceti più elevati frequentavano la Sala Dorica o il Teatro delle Muse, dove c’erano spettacoli di alta qualità. La gioventù anconetana amava moltissimo il teatro, il varietà e l’operetta.
Verdini ci riporta a quel “Nuovo Cinema Paradiso” che ciascuno di noi conserva gelosamente dentro di sé. Insomma, protagonisti in assoluto le sale (parrocchiali e commerciali) ed il pubblico. Ma anche l’associazionismo cinematografico, le arene estive, la distribuzione, la stessa mediateca.
Senza alcun dubbio una carrellata per certi versi melanconica che ci porta dritti alle multisale. Da Wanda Osiris agli effetti speciali, dalla rivista al dolby surround.
Come dire: dalla preistoria alle guerre stellari. Con un certo rimpianto, con umn ppo’ di nostalgia.